23 giugno 2010

FEDERALISMO FLUVIALE

Sul “federalismo fluviale”

Il trasferimento agli Enti Locali dei beni demaniali, ivi compresi i fiumi, ha acceso l’entusiasmo delle Provincie di Treviso, Belluno, Venezia e della Regione Veneto per l’opportunità di sfruttare le “risorse” del Piave a fini turistici in aggiunta alla consistente eredità degli introiti derivanti dalle varie concessioni in atto ai grandi Enti pubblici e privati cittadini.

La dimensione economica dell’affare induce ad una attenta valutazione degli aspetti positivi ma anche dei rischi dell’operazione. Preso favorevolmente atto del radicale cambio di rotta del Governatore sul massiccio asporto di inerti sostenuto qualche anno fa, vanno considerati di fondamentale importanza l’unificazione e il trasferimento dei livelli decisionali in capo ad un unico organo di gestione con l’opportunità di realizzare e coordinare le grandi scelte programmatorie, valutando priorità e compatibilità nell’impiego delle risorse disponibili. Non va però dimenticata la persistenza di alcuni problemi di fondo storicamente irrisolti, che soltanto ora, dopo anni di silenzio, sembrano riemergere nel dibattito pubblico e con i quali dovranno necessariamente confrontarsi i nuovi gestori del fiume.

Il primo e pregiudiziale ostacolo rimane la mancanza di una pianificazione generale di bacino, surrogata fino ad oggi da alcuni progetti “stralcio” spesso tra loro in contrasto e dalla coesistenza di una serie di normative concorrenti di matrice eterogenea: comunitaria, nazionale, regionale, intercomunale, che hanno portato alla inevitabile completa assenza di ogni serio ed efficace intervento.

Il Piano stralcio per la sicurezza idraulica, approvato dopo 44 anni dalla storica alluvione del 66, detta una serie di interventi strutturali dal costo insostenibile per il bilancio regionale, in aggiunta alle attuali difficoltà di reperire le risorse necessarie per gli interventi di ordinaria ed urgente manutenzione.

Chi sosterrà inoltre i costi incalcolabili derivanti dai possibili e temuti eventi eccezionali aggravati da anni di malgoverno del fiume?

Il secondo problema attiene alla pluralità degli “utilizzatori della risorsa idrica” notoriamente insufficiente per soddisfare le contemporanee esigenze di enti elettrici e consorzi di bonifica, ai cavatori di inerti e del connesso ricco patrimonio boschivo, agli esercenti una variegata attività agricola in primo luogo viticultori, ai difensori della naturalità dei siti, tutti in perenne conflitto per evidenti divergenze di obiettivi. Oltre all’arduo ed impari confronto con i potentati economici e le lobbies che governano queste attività non risulterà agevole, specie nella fase di transizione, la gestione politica di una situazione complessa e radicalmente consolidata, per gli intuibili temuti riverberi sul consenso elettorale. Non potrà costituire valido strumento di mediazione fra le parti in causa, la rigida normativa comunitaria sul rispetto e protezione dei siti di importanza naturalistica. In questa difficile cornice appare anacronistica la previsione di avvio di una attività turistica dagli esordi entusiasticamente spartani, ma con dichiarate velleità di sviluppo elitario.

L’iniziativa, certamente suggestiva per promuovere il consenso dei veneti che amano per scelta o per necessità un approccio naif alla balneazione, risulta di non facile attuazione.

Da anni ormai le sponde del fiume sono frequentate in modo disordinato ed incontrollato da una variegata presenza di ospiti, dalle tranquille famiglie in vacanza domenicale, ai meno moderati partecipanti ai frequenti “rave party” notturni, fino ai cultori delle più svariate “trasgressioni” oggi purtroppo di moda.

Ricondurre la frequentazione ludica ed il rispetto per l’ambiente nei limiti della civiltà è una scelta da apprezzare e condividere, ma anche in questo caso sorge il problema della sostenibilità dei costi, accettabili e contenuti sotto il profilo logistico, molto più problematici per la necessaria continuità di controllo e di vigilanza anche notturna.

Non ultimi ma temibili ostacoli le possibili piene del fiume che, anche se non eccezionali, spazzerebbero inesorabilmente le attrezzature ed infine le disposizioni normative sulla sicurezza, di recente approvate, che vietano categoricamente ogni edificazione anche di carattere precario nel terreno golenale.

Le vie del federalismo fluviale, almeno per quanta riguarda il Piave, sembrano ancora più lastricate di buone ed ottimistiche intenzioni che di fondate speranze per un sia pur graduale ma concreto avvio della resurrezione del fiume.

Gianni Marin

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